Che ne sarà di noi

Che ne sarà di noi

Giulia Tarquini

 

E se adottassi la prospettiva della moglie dell’uomo investito dalla polizia?

 

Un’identità fittizia per descrivere da dentro, ma con occhio esterno, il campo di Idomeni.

 

Che ne sarà di noi?

 

Sono sola. Mio marito è morto in questo limbo infernale. E’ da non crederci dopo tutto quello che abbiamo vissuto! Sopravvivere alle bombe della guerra, a quel mare in tempesta e trovare la morte qui! Investito da una camionetta. Assurdo. Tanto assurdo che sento il bisogno di raccontare il nostro destino, quello che ho vissuto, quello che vivo.

 

Il mio nome non importa, sono una tra le tante storie che camminano a Idomeni. Sono bloccata qui da due mesi e mezzo, come quasi tutti. Le mie giornate scorrono tra vento e fango, tra odori di plastica bruciata e sigarette, scandite dalle interminabili file per un pasto, un vestito, una tenda, una visita medica. Condividono questa sorte con me circa diecimila persone, il quaranta per cento bambini; siamo per la maggior parte siriani ma ci sono anche afghani, iraqeni, pakistani e un pugno di marocchini. Tutti abbiamo venduto ogni cosa che avevamo per inseguire il “sogno europeo”; abbiamo lasciato indietro i nostri cari, la guerra e le bombe per ritrovarci qui. Bloccati da due mesi e mezzo in questo limbo infernale dove vita e morte si intrecciano costantemente.

 

Doveva morire proprio qui mio marito?! Me lo chiedo ogni giorno, ogni notte che passo sola in questa tenda fredda che sembra stia per volare via ad ogni folata di vento, che si allaga per le continue piogge, che scoppia di calore al primo sole.

 

La vita non è più vita per noi pedine, numeri, massa informe. Siamo persone! Ognuna con una storia propria e diversa nella sua tragicità.

 

Mi hanno rubato tutto qui: mio marito, l’amore, la vita e anche tutto quello che mi era rimasto di materiale come soldi e cellulare, unico contatto con il mondo esterno dal campo di Idomeni. Non ho neanche i documenti! Quelli me li hanno rubati in Turchia, non voglio tornare lì da quei fascisti, voglio andare verso est, voglio andare in Germania, voglio inseguire il sogno di un futuro per i miei bambini!

E’ per questo che rimango qui, lungo le frontiere, aspettando che le aprano di nuovo; è per i miei figli che sto pensando di mettermi in marcia di notte nel bosco e provare a passare illegalmente. Ma i miei bambini sono piccoli e ho paura di intraprendere un viaggio tanto pericoloso; tremo al pensiero della polizia macedone, violenta e minacciosa, che rimanda indietro chi ce l’aveva fatta, seppure per poche ore o pochi giorni.

 

Cosa ci faccio qui?! Ho paura ad andare nei campi militarizzati che stanno aprendo! Lì sparirò ingoiata senza che nessuno sappia più neanche della mia esistenza, senza più neanche la risonanza mediatica sarà come se non esistessi più.

 

Non voglio finire nell’oblio come quelle famiglie sparite con quel sedicente medico! I miei bambini non andranno ad ingrossare il mercato nero degli organi!

 

Non mi muovo da qui! Non lo vorrebbe neanche mio marito!

 

Sto pensando di passare illegalmente in Albania. Mi hanno detto che ci sono persone che posso pagare (ma con quel poco che mi è rimasto come potrei pagarli?!) per passare tra i monti e seguire rotte illegali verso est.. Non mi possono rispedire in Siria tra le bombe! E’ tutto così nebuloso che nell’indecisione resto qui. Ho paura per me e i miei figli. Che ne sarà di noi?

 

Ho bisogno di informazioni, sono isolata dal mondo; non ho mai visto nessuno del governo greco, solo la polizia. Quella stessa che ha investito mio marito e l’ha ucciso. Dov’è oggi quel poliziotto che guidava in retromarcia quel furgone sulla strada principale del campo, sempre piena di persone? Dov’è lo stato greco? Dov’è l’Europa? Sembra sia solo capace di deportarci in piccoli centri sparsi tra le montagne dove le nostre tracce spariranno, dove i giornalisti non possono entrare, dove nessuno potrebbe mai ascoltare la mia voce.

Ho già provato tante volte a seguire la procedura della richiesta d’asilo. Ho fatto la “skype call” ma non risponde mai nessuno! In teoria possiamo farlo solo dal campo, dove nessuna autorità o organizzazione formale ha provveduto a installare una connessione Wi-fi. L’ha fatto solo un gruppo di attivisti indipendenti che ha creato una postazione internet e un punto informativo all’interno del campo. Senza di loro non avrei neanche potuto provare a chiamare. Abbiamo un’ora a settimana per ogni nazionalità per prendere l’ appuntamento per fare la richiesta d’asilo. A chi è riuscito l’hanno dato dopo un mese, un mese e mezzo…

 

Nel frattempo continuiamo ad aspettare qui, nel limbo infernale, privi di autonomia, dipendenti per qualunque cosa.

 

Siamo (non)persone rinchiuse in un (non)luogo di controllo e isolamento.

 

E passato l’inverno arriverà l’estate a Idomeni, arriverà il caldo insopportabile; i serpenti già ci sono, tra poco compariranno le malattie e la sete.

 

Che ne sarà di noi?

 

Ho paura.